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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 110
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originale
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110 Quid vero habet auctoritatis furor iste, quem divinum vocatis, ut, quae sapiens non videat, ea videat insanus, et is, qui humanos sensus amiserit, divinos adsecutus sit? Sibyllae versus observamus, quos illa furens fudisse dicitur. Quorum interpres nuper falsa quadam hominum fama dicturus in senatu putabatur eum, quem re vera regem habebamus, appellandum quoque esse regem, si salvi esse vellemus. Hoc si est in libris, in quem hominem et in quod tempus est? Callide enim, qui illa composuit, perfecit ut, quodcumque accidisset, praedictum videretur, hominum et temporum definitione sublata.
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traduzione
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110 Quale autorit?, d'altronde, pu? avere codesto stato di folle eccitazione che chiamate divino, in virt? del quale ci? che il savio non vede, lo vedrebbe il pazzo, e colui che ha perduto le facolt? sensoriali umane avrebbe acquisito quelle divine? Noi crediamo ai carmi della Sibilla, che essa, si dice, pronunci? in stato di esaltazione. Si credeva poco tempo fa, per una dicer?a infondata diffusasi tra la gente, che un interprete di tali carmi si apprestasse a dire in senato che colui che di fatto era gi? nostro re avrebbe dovuto anche ricevere il titolo regale, se volevamo esser salvi. Se questo ? scritto nei libri sibillini, a quale uomo e a quale tempo si riferisce? Colui che aveva scritto quei versi aveva agito furbescamente: omettendo ogni precisazione di persona e di tempo, aveva fatto in modo che, qualunque cosa accadesse, sembrasse l'avveramento di una profezia.
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